La Scuola Holden non è quello che sembra: Leonardo Caffo e la "cultura" a pagamento nell'epoca del capitale e dell'antropocene.
Nell’oscurità di un futuro passato, il mago desidera vedere, un uomo che canta una canzone, tra questo mondo e l’altro: Baricco cammina con me.
Il mese di giugno, uno dei mesi più caldi degli ultimi anni ha fatto esplodere (finalmente, oserei dire) la bolla di intoccabilità che sovrasta la Scuola Holden, istituto di privato di scrittura fondata da Alessandro Baricco. Grazie a Kants Exhibition (La Scuola Holden e la filiera della creatività a pagamento. 20.000 euro per una firma di Baricco) e al polverone conseguentemente ad un video pubblicato sulle pagine dell’istituto intorno all’aver speso bene questi 20K (la questione, fino a quel punto è raccontata benissimo da Demetrio Marra qui) l’istituto ha subito pesanti critiche sulla mancanza di meritocrazia interna alla scuola e al fatto che, in estrema sintesi, sia una scuola che con ventimila euro non ti dà delle vere proprie competenze e capacità ma agganci e una formazione estremamente coerente rispetto al contesto in cui dovresti andare ad inserirti. Holden, ironicamente, non è più accusato di essere anticonformista e un ragazzo fuori da ogni schema e regola ma di creare autori omologati e tutti simili tra loro per poi mandarli ad essere fagocitati e deietti dalle grandi distribuzioni editoriali di questo paese.
Luglio non è stato da meno andando a trovare, in una costola della “cultura” del nostro paese, molteplici riflessioni e spunti che vanno a difendere e legittimare la creatura di Baricco. In particolare il seguente articolo vuole interfacciarsi e confrontarsi con la risposta di Leonardo Caffo uscita su MoW magazine il 2 luglio 2025, affrontare di petto le sue tesi e parlare del rapporto tra industria culturale e capitalismo (oltre che di amichettismo).
La tesi del filosofo condannato a 4 anni per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi nei confronti della, ormai, ex compagna è quella di un costante sminuimento delle critiche lanciate nei confronti della Holden definendola la querelle
una polemica ridicola, francamente. Si grida allo scandalo per il costo di una scuola privata, come se l'esistenza di istituzioni elitarie e costose fosse una novità sotto il sole, un'anomalia tutta italiana. Ma di cosa stiamo parlando? Il capitalismo, piaccia o meno, è il sistema in cui siamo immersi. E in questo sistema, l'accesso a determinate opportunità passa spesso attraverso investimenti economici. […] Negarlo è negare l'evidenza, è un'ingenuità che rasenta l'idiozia. E la fortuna, diciamocelo, è che in Italia abbiamo ancora un sistema di scuole pubbliche d'eccellenza, un baluardo che resiste (malgrado tutto) all'erosione liberista e che garantisce, almeno in teoria, pari opportunità a tutti.
Il problema di quest’apertura è molteplice e stratificato: in primo luogo v’è una critica senza argomento nei confronti di chi, a sua volta, ha osato creare polemica. L’aggettivo “ridicolo” non porta con sé una reale argomentazione, è un’enorme fallacia che va ad interfacciarsi con la qualità della trattazione e non con la trattazione stessa. Io potrei dire, ad esempio che “Invitare a PLPL, fiera dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin, vittima di violenza femminicida, a presentare un autore che ha subito una condanna per violenza nei confronti della sua compagna è ridicolo” ma ciò non ha nessun valore intrinseco rispetto, per quanto la mia affermazione sia auto-evidente, alla problematica del discorso di riferimento. Il punto, però, non si ferma solo quei, l’argomento sarebbe ridicolo perché si interfaccerebbe con una critica al capitalismo, il sistema di riferimento che, in quanto interno e radicato, è intoccabile e bisogna accettarlo così com’è. La gente che critica il modus operandi del nostro tempo perde solo energie e spreca fiato perché, non solo il sistema è così (stacce! NdR) ma, in Italia, non è così male dato che, in teoria (tutto è facile in teoria, so che se sbaglio è colpa mia, se sbaglio è colpa mia), in Italia ci sono un sacco di reatà valide e accessibili a tutti.
Successivamente Caffo continua il suo attacco puntando direttamente contro la strumentalizzazione della suddetta polemica fatta dalla destra contro una pseudo-sinistra, quella, citando:
dei "trombati" e degli "esclusi", che in un delirio di frustrazione coniano parole inesistenti come "amichettismo" per denunciare un sistema che, a loro dire, si auto-alimenta attraverso favoritismi e reti di amicizie.
E qui il filosofo si toglie un bel sasso dalla scarpa attaccando il sistema definito, all’intero del mondo performativo dei social, come “amichettismo” da personalità come Dario Alì, che è andato a smontare e a criticare, spesso e volentieri, un sistema che andava a fare scudo e rete intorno alle amicizie interne al settore più per protezionismo che per veri e propri meriti o necessità. E’ il caso stesso di Caffo che ha visto molteplici interventi (alcuni palesi e diretti, altri silenti e nascosti) di sostengo e supporto intorno al “male” che stava attraversaneo e subendo sulla propria pelle andando a credergli ciecamente. Il problema, qui, è un altro: non è davvero una questione di amicizie o meno ma di coerenza. Quando nel panorama culturale italiano si fanno costanti riferimenti alla moralità, al femminismo e ad una quasi platonica virtù suona stonato un silenzio, un post di difesa, una scudo che va a circondare una persona che è stata accusata in maniera così grave. C’è una differenza tra il dare sostegno ad un amico e a demistificare un fatto. La coerenza che spesso certe persone hanno eretto a sigillo della propria carriera all’interno dell’industria culturale, così facendo, si è completamente ribaltata facendo non solo perdere notorietà e rispetto ma ponendo, chi ha spirito critico, un fortissimo dubbio rispetto alla bontà delle pubblicazione interne alla rete, ossia al circolino di difesa eretto intorno a chi è stato difeso. E’ questo il meccanismo che fa disgusto, non il supporto tra amici ma il trascinarli elargendo complimenti, amministrando competenze come se fossero caramelle.
Queste stesse caramelle vengono promesse dalla Scuola Holden per il modico prezzo di ventimila euro partorendo, come una madre benevola, autori che vedranno i loro libri pubblicati da Einaudi, Feltrinelli et similia. La questione è che questi autori vengono elevati a penne imprescindibili della cultura italiana quando spesso, cosa esce, risulta mediocre e, se ispirato, simile ad altre dozzine di pubblicazioni. Holden non è mai stata capace, ad oggi, di regalare al grande pubblico un nuovo grande autore o, a mio modesto avviso, una penna interessante. Il networking decantato da Caffo e da chiunque abbia difeso l’istituto non è che la faccia sotto il sole del meccanismo delle caste tanto decantato dai detrattori: perché Einaudi dovrebbe pubblicare un libro di un alunno della Holden che non ha mai scritto nulla mentre chi, in potenza, può avere con sé un signor manoscritto neanche viene preso in considerazione? Se l’editoria si pone come meccanismo meritocratico di promozione della cultura risulta necessario promuovere quella cultura e non, meramente, buttando libri alla masse attraverso un marketing feroce che fa passare ogni rigurgito su carta come il prossimo capolavoro.
Ma l’autore, profeticamente, risponde implicitamente alle mie obiezioni:
La vita, quella vera, te la devi risolvere da solo, con la tua intelligenza, la tua caparbietà, la tua capacità di cogliere le occasioni. E poi c'è il coro, insopportabile, dell'anti-capitalismo da social network. Quello di chi, magari, sognava di diventare un grande scrittore o un comunicatore illuminato, e non essendoci riuscito si è trasformato in un critico rabbioso ai margini del sistema. Un sistema in cui, per altro, non vede l'ora di entrare, sognando magari quella stessa "amicizia tra competenti" che oggi denuncia. È una posizione comoda, quella di chi spara a zero da dietro una tastiera, senza mai sporcarsi le mani, senza mai confrontarsi con la complessità del reale.
L'idea che l'accesso alla cultura e alla formazione di alto livello debba essere "per tutti" è, in sé, nobile. Ma è un'utopia irrealizzabile in un mondo che funziona secondo le logiche di mercato. Certo, avere grandi scrittori come insegnanti è un lusso. E forse, in un mondo ideale, dovrebbe spettare a tutti. Ma non viviamo in un mondo ideale. E finché non saremo in grado di costruire una società diversa, radicalmente diversa, continuare a piagnucolare sui costi di una scuola privata è una perdita di tempo preziosa. Lunga vita alla Holden, allora. E lunga vita a chi, invece di lamentarsi, cerca di costruire, di imparare, di fare, anche a costo di pagare il prezzo. Perché alla fine, la vera distinzione non è tra chi può permettersi una scuola privata e chi no, ma tra chi agisce e chi si limita a criticare. E questa, per fortuna, è una scelta che spetta a ciascuno di noi.
La critica è uno strumento fondamentale e, come Caffo sa, è la base di ogni grande pensiero filosofico, porre l’accento sui problemi sistematici di un’industria, di un regime economico e sociale, di come i media si comportano è al centro della riflessione di molti grandi autori del Novecento: tra la Scuola di Francoforte e G. Anders, da M. Foucault a G. Deleuze passando, poi, da U. Eco, S. Sontag e G. Vattimo, la critica e porsi criticamente nei confronti delle cose è la base e non è inazione, non è mancanza di produzione, è il tempo di “staccarsi dalle cose e pensare”, elemento necessario e fondamentale rispetto ad un mondo che costantemente spinge nei confronti di un’azione sfrenata senza pensiero. Agire a vuoto significa agire male e in un contesto nazionale in cui si legge poco (e si legge pure male!) è fondamentale porre la critica alla Holden non come diplomificio di meteore editoriali ma nella sua legittimità ultima nel pubblicare costantemente autori solo perché hanno un foglio da ventimila euro in mano con il nome di Alessandro Baricco scritto sopra. Lunga vita alla Holden? Forse meglio augurare lunga vita a chi fa davvero cultura in questo paese, ai collettivi come Lo Spazio Letterario a Bologna o agli eventi del Comala a Torino, alle librerie indipendenti e a chi, nonostante tutto, scrive e prova a scrivere come vuole e sente piuttosto che inscatolarsi ed incapsularsi in un sistema che continua a fingere la critica.
In fondo è questo l’enorme elefante nella stanza della cultura di questo paese: la critica, in ultima istanza, è morta. Non si può osare di stroncare un libro, ogni uscita à bella e rivoluzionaria rispetto alle precedenti, il nuovo, per quanto scritto probabilmente con l’IA è meglio di qualunque altra cosa e, se non ti adegui, non capisci niente, non sei capace o, banalmente, non sei adatto a questo tipo di panorama. Oscar Wilde diceva che il critico aveva il ruolo di educare il pubblico mentre Nietzsche sosteneva come essi si sostentassero del sangue degli scrittori senza avercela con loro. In ultima istanza la critica, soprattutto se negativa ha il ruolo centrale e unico di spingere il lettore a farsi una propria idea senza vizi, vezzi e pregiudizi. Uscire da quello stato di minorità che Kant tanto decanta nel suo testo sull’Illuminismo significa esporsi di fronte alla Holden e dire che, in conclusione, il re è nudo e certi libri sono da macero ancora prima che escano.